sábado, 5 de febrero de 2011

La comunità come cammino verso l’incontro di comunione


Per vivere un progetto comunitario ci vuole prenderle, prima di tutto, come un “progetto”, cioè, come qualcosa che si va costruendo giorno dopo giorno e per fare questo ci vuole anche, avanzare verso l’incontro di comunione. La vita di comunità consiste quindi nel camminare in discernimento verso l’incontro de comunione.

Cosa si intende per incontro di comunione?

Per rispondere questa domanda dobbiamo prima chiarire cosa intendiamo per comunione? Essa non consiste nella “fusione” di due in uno, in modo da far sparire le differenze. Se spariscono le differenze, se sparisce il conflitto, è segno che uno è riuscito ad imporsi sull’altro. La comunione è credibile soltanto quando integra un certo livello di conflitto e riesce a coabitare con questo. Ogni apologia della comunione che non integri il conflitto è ideologica e, pertanto, nasconde qualche forma di manipolazione.

La comunione non consiste neanche nell’identificarsi con l’altro a tal punto di far sparire ogni ombra di solitudine, di discrepanza, di oblio o di indifferenza. La comunità non è né la fidanzata, l’amante, né la sposa. Il desiderio di fusione è un sogno che sboccia in continuazione nel cuore umano, dal quale veniamo svegliati dagli inevitabili screzi nei nostri rapporti con gli altri. La terra promessa della comunione non si conquista se non procedendo in questo spinoso deserto del conflitto.

La comunione è piuttosto quell’incontro che si verifica quando due persone entrano in sintonia a livelli esistenziali e affettivi di fondo. La comune-unione avviene in quel centro personale che ci definisce e ci costituisce in modo radicale e che, per questo, ha il potere di relativizzare le nostre differenze, anche se non arriva ad annullarle del tutto. Affinché si raggiunga l’incontro di comunione, occorre che la persona esca da sé, distolga l’attenzione dal proprio narcisismo e coincida con l’altro su qualche suo interesse vitale. Quando due persone non sono più concentrate su di sé per concentrarsi su Dio, si aprono insospettate possibilità di coesione e di incontro, capaci di salvare le differenze maggiori. Condividere la chiamata di Dio non annulla le differenze di carattere, di gusti, di sensibilità…neppure le differenze tra i modi d’intendere Dio. Ma quel Dio ha il potere di darci progressivamente coesione e di avvicinarci nell’amore di carità, nonostante le nostre differenze di sensibilità, di cultura, di idee…fino a farci arrivare ad accettarci e amarci sinceramente nella differenza.

La comunione cresce in modo dialettico tra i poli autonomia/interdipendenza. La grandezza e, allo stesso tempo, la difficoltà della comunità cristiana e religiosa sta nel fatto che la difesa della pluralità e della diversità è importante quanto l’affermazione della comunione (1 Cor. 12, 4-11).

Non vi è comunità né comunione senza riconoscimento delle differenze. Le condizioni per una vera comunione sono l’autenticità di ognuno nei confronti della propria verità, la comunicazione della propria interiorità, il rispetto dell’identità altrui e la sintonia negli interessi vitali. La comunione non può mai venire imposta dall’esterno. Essa fiorisce quando ogni persona vi partecipa in modo pulito, e si avvia, in autenticità di vocazione, verso l’incontro dell’altro.

Il meglio di me non si manifesta in me o in te, ma in quello spazio che creiamo, tu e io, quando si mettiamo a costruire insieme la comunione mediante il discernimento (non nell’imposizione), verso i nostri interessi vitali comuni. Come dice Martin Buber, l’essenziale della vita non accade in me o in te, ma in quello spazio che siamo capaci di creare tra tutti e due quando entriamo in relazioni vive.

Lo spirito non è nell’IO, ma tra Me e Te. Non è come il sangue che circola dentro di te, ma come l’aria che respiri […] Soltanto a causa del suo potere di relazionarsi, l’uomo è capace di vivere nello spirito (Buber, 2004, p. 77).

In questo cammino verso la comunione non si avanza se non dando il meglio di se stessi e condividendo livelli della propria interiorità, come condizione per conciliare le tese bipolarità dell’esistenza umana condivisa. Si può creare comunione soltanto se si condivide l’interiorità. 


Così ci educhiamo a:

- vivere sempre più “per gli altri” che “per noi”,
- armonizzare la dialettica tra l’aspetto personale e quello comunitario,
- vivere l’autonomia e l’esperienza di appartenenza come qualcosa di culminante,
- acquisire sempre più libertà e amore per affrontare i conflitti, potenziando così la crescita de la fraternità
- accettare le differenze come qualcosa di costitutivo di ogni vita in comunità
- accettare l’altro così com’è e a dargli tempo affinché possa crescere in libertà
- scoprire che ognuno può essere causa de allegria o di sofferenza per i propri fratelli, e che ciò, in parte dipende da lui.

La crescita personale consiste nel risvegliare processi di trasformazione interiore, a partire da necessità sentite e da motivazioni proprie (personalizzazione). Ogni processo credente di personalizzazione si deve sviluppare verso l’incontro di comunione con l’altro, verso l’integrazione in una comunità concreta e verso il senso di appartenenza. Chi non avanza verso una maggiore integrazione comunitaria e verso un senso de appartenenza maggiore, non avanza nel processo di personalizzazione. Chi invece socializza troppo all’interno del gruppo rischia di perdere la propria identità e la propria autonomia.

L’amore, che ciò che personalizza di più, è un incontro con l’altro in libertà.

Referenze bibliografiche

Buber M. (2004), Il principio dialogico e altri saggi, Milano, San Paolo.
Buber M. (2005), Yo y Tù, Madrid, Caparros.
Ilarduia J. P. (2007), Il progetto comunitario. Cammino d’incontro e comunione, Bologna, EDB.

viernes, 24 de diciembre de 2010

Natale: Festa della “Parola” donata e condivisa nella comunione di vita

Il vangelista Giovanni ci presenta il natale di Gesù come Parola e Luce da accogliere e da condividere tra noi. Natale è la comunicazione di Dio tramite la sua Parola incarnata: Gesù di Nazaret.
Oggi siamo immersi nella cosiddetta società dell’informazione e nella cultura della comunicazione. Questi titoli c’indica che veramente il tema della comunicazione e dell'informazione ogni volta svolge un ruolo importante, per non dire, esenziale nella nostra vita e nei nostri rapporti interpersonali e sociali.
In questi giorni siamo stati bombardati con un tipo di comunicazione invadente, seducente e addirittura persuasiva, cioè, la pubblicità: le grande agenzie mediatiche si sono dato da fare per riuscire loro obiettivi: convincerci che la cosa più importante nel Natale è comprare e consumare. Questo sembra il messaggio che ha riverberato in questi ultimi giorni.
Ho trovato questa espressione di un giovane sul internet che diceva al suo amico: «Io so che il Natale è vicino, ma in questa situazione ti domando: Che cosa hai comprato in questo Natale?»

Sarà possibile che questa sia l’unico messaggio che si comunica e si condivide in Natale?

Il vangelo che ci annuncia il Natale di quest’anno è di Giovanni che si apre dicendo: “In principio era il verbo, e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio” (Gv. 1, 1). Altre traduzioni usano il termine “Parola” invece di Verbo. Il mio interesse è mettere a confronto la Parola di Dio: parola che libera, che salva e che crea comunione è unità; e le nostre parole, che non sempre edifica e crea unione.
Penso che il Natale dovrebbe essere riscoperto come la festa de la Parola donata e condivisa, come l’auto comunicazione di Dio per mezzo della sua PAROLA, cioè, Gesù di Nazaret. Proprio questo è il senso vero del Natale, e per questo oggi siamo qui radunati come comunità. Dio stesso ha voluto mettersi in comunicazione e in relazione con ciascuno di noi, donandosi Lui stesso a ciascuno di noi, perché accogliendo la sua Parola possiamo anche rinnovarci personalmente.
Dio comunicandosi con gli uomini ha voluto condividere con noi il dono della sua vita divina, e la sua PAROLA svela il senso vero della nostra vita. Possiamo dire che la nostra vita soltanto trova senso nell’incontro con Gesù-Parola Incarnata del Padre. Presentare Gesù come Parola del Padre ci mete in un’atmosfera d’incontro, di relazione, di contatto e di comunicazione con Dio stesso. Gesù è l’Emmanuele: è il Dio con Noi, che ci rinnova e ci incoraggia per dare qualità alla nostra vita relazionale.
Possiamo allora interpretare il NATALE come il mistero dell’agire comunicativo de Dio con l’umanità intera e con ciascuno di noi. Vi presento tre sfide che possono diventare allo stesso tempo un impegno da vivere nel nostro piccolo:

-       Ascoltare la Parola di Dio ascoltando agli altri nei suoi bisogni concreti.
-       Accogliere la Parola di Dio accogliendo le parole degli altri con apertura e generosità di cuore.
-       Testimoniare la Parola per rendere credibile che Dio è veramente con noi e in noi.

Gesù PAROLA donata all’umanità ci chiede anche oggi a ciascuno di noi diventare strumento di relazione e di comunione per essere testimoni vivi e credibili di un Dio che si fa presente attraverso noi. Gesù Parola donata del Padre ci spinga anche a noi a donarci generosamente nella comunione di vita.

Sia lodato Gesù Cristo….sempre sia lodato…!!!

sábado, 4 de diciembre de 2010

Convertitevi, perché il Regno di Dio è vicino

Seconda Domenica di Avvento


 "Un germoglio spunterà dal tronco di lesse, un virgulto germoglierà dalle sue radici"


Introduzione

Inizio la mia riflessione facendo riferimenti alle tre antifone,
-         quella dell’ingresso: Il signore verrà a salvare i popoli…
-         del salmo: Vieni, Signore Re di Giustizia e di pace…
-         e del vangelo: Preparate la via del Signore…


Le tre antifone nel suo insieme ci mette in sintonia allo spirito dell’avvento in generale, e in particolare, al tema di questa seconda settimana di attesa del Signore Gesù.

Una domanda iniziale per impostare meglio la riflessione:

Quale è la forma più accurata di preparare e di attendere la venuta del Signore Gesù?

Il vangelo di questa seconda domenica di avvento ci presenta la figura di Giovanni il Battista, nelle sue parole e vita troviamo qualche chiave di lettura e di interpretazione per rispondere alla nostra domanda iniziale: Come prepararci in questo tempo di attesa?

Vi presento questo itinerario:

1-     Cercare la conversione di mente, di cuore e di azioni.
2-     Rispondere con prontezza all’invito della conversione
3-     Testimoniare con gioia la vita nuova nello spirito di comunione

1-     Per cercare la conversione di mente, di cuore e di azioni dobbiamo prestare attenzioni a:
-         mente: pensieri
-         cuore: sentimenti, affetti, emozioni.
-         Azioni: atteggiamenti, comportamenti (frutti di conversione)

La predicazione di Giovanni aveva come scopo principale il annuncio della vicinanza del Regno dei cieli e di preparare la venuta del Signore Gesù. L’invito alla conversione è indirizzato a “tutti”, ma particolarmente ai farisei e i sadducei, dice il vangelista Matteo, “vedendo molti farisei e sadducei venire al suo battessimo…”

Perché loro? I farisei e i sadducei credevano che la conversione si trattava di un fatto mentale che non implicava la totalità della persona. Loro si limitavano di compiere i comandamenti della legge e trascuravano i comandamento più principale e importante: la carità verso gli altri (peccatori).

Nella prospettiva dei farisei “la conversione” era qualcosa che riguardava allo formale…ma che non toccava la profondità del cuore. La conversione che annuncia e proclama, addirittura dice Matteo: grida, si tratta di un “invito” al cambio totale e radicale del nostro rapporto con Dio e con gli altri.

La conversione allora, prima di tutto, è ricostruire un rapporto nuovo con Dio e con gli altri.
 
2-     Per rispondere con prontezza all’invito della conversione. Il vangelista Matteo riporta le parole del profeta Isaia come anticipo della missione di Giovanni: “voce di uno che grida nel deserto…”. Nel invito di Giovanni troviamo un annuncio che diventa un’urgenza, in cui non c’è tempo per sprecare e pensare. Convertitevi! È un imperativo non soltanto un “invito”…dobbiamo allora prendere la decisione adesso!

La conversione è anche la nostra risposta generosa alla Grazia di Dio.

3-     E in fine, per testimoniare con gioia la vita nuova nello spirito di comunione, come frutto della nostra conversione possiamo estrarre dalle parole del profeta Isaia della prima lettura. Il profeta ci presenta un mondo di bellezza, armonia e di comunione totale tra: l’uomo e Dio, l’uomo e uomo e l’uomo e natura. La descrizione del profeta ci aiuta a capire che la missione dei cristiani oggi è proprio costruire un mondo umano più bello, pacifico, rispettoso e solidale tra uomo e uomo e tra uomo natura, come espressione della nostra comunione con Dio.

Da questa prospettiva la conversione è ricostruire un nuovo rapporto con Dio, con gli altri e con la natura.

Che la parola e la vita del Battista dirigano i nostri passi sulla via di una conversione profonda, che ci riporti alla radice del nostro vero essere: vivere in comunione profonda e totale.

Sia lodato Gesù Cristo…Sempre sia lodato!!!

viernes, 26 de noviembre de 2010

La cultura come sistema di valori

«Non vi è comunicazione senza cultura, così come non vi è cultura senza comunicazione»


L’identità personale e collettiva è (ri) costruita momento per momento nella comunicazione e nella relazione interpersonale.

Al cuore di una cultura si collocano i valori. I valori sono l’espressione della desiderabilità a un qualche livello, ma anche essi, costituiscono credenze che fanno riferimento a scopi desiderabili e alle condotte opportune per il loro conseguimento.




Lo studio delle dimensioni culturali dei valori ha condotto all’elaborazione di diversi tipologie. Presentiamo una tipologia che prevede tre assi fondamentali:






1-    Conservatorismo-autonomia: nelle culture fondate sul conservadurismo l’individuo è considerato come inserito in una collettività e sono privilegiati i valori dell’ordine sociale, della solidarietà, del rispetto per la tradizione e dell’autodisciplina. Per contro nelle culture basate sull’autonomia la persona è considerata come un’entità separata che trova significato nella sua unicità ed esclusività.

2-    Gerarchia-egualianza: nelle culture con alta gerarchia le persone sono educate e sanzionate ad adeguarsi agli obblighi e alle norme del loro ruolo e la distribuzione diseguale del potere e delle risorse è considerate legittima. Per contro, nelle culture con alta eguaglianza gli individui, ritenuti eguali nei loro diritti e doveri, sono socializzatti verso la cooperazione volontaria con gli altri e a superare i propri interessi egoistici.

3-     Padronanza-armonia: nelle culture con alta padronanza, le persone cercano attivamente di gestire e di cambiare il mondo fisico e sociale e sono orientate ai valori dell’affermazione di sé. Per contro le culture con alta armonia accettano il mondo com’è e sottolineano il senso di unità con l’ambiente e con la natura.

Sulle base di queste dimensioni emerge una sostanziale differenza fra le culture occidentali (valori elevati in Autonomia ed Eguaglianza, bassi in Gerarchia e Conservatorismo) e quelle orientali (situazione rovesciata).

Questa tipologia ci mostra che ci sono differenze fra gli stili comunicativi di culture diverse:

1-    Comunicazione a bassa contestualizzazione: culture occidentali.

-       È caratterizzata dall’adozione di un codice, da una modalità diretta e da una formulazione precisa degli enunciati.

-       È una comunicazione aperta, che fa poco affidamento sulle informazioni contestuali e che cerca di fornire all’interlocutore tutte le conoscenze necessarie per comprendere il messaggio.

-       Il silenzio è uno spazio da riempire e la sua presenza può creare imbarazzo

-       Le culture individualistiche, inclini a parlare, presentano una maggiore aderenza a forme di comunicazione a bassa contestualizzazione cercando di conseguire chiarezza ed efficacia, con l’obiettivo di ottenere affezione, soddisfazione e senso di appartenenza.
  
2-    Comunicazione ad alta contestualizzazione: culture orientali.

-       È qualificata da uno stile indiretto e da una modalità implicita, spesso vaga, in cui il  parlante dà per scontato che l’interlocutore conosca già la situazione e la sua intenzione.

-       Fa molto affidamento sulle informazioni aggiuntive proveniente dal contesto, è piuttosto concisa, lasciando all’interlocutore la libertà di intendere il discorso in atto.

-       Il silenzio ha un preciso valore comunicativo per indicare fiducia, discrezione sociale, protezione dall’imbarazzo e sfida.

-       Le culture collettivistiche prestano maggiore attenzione al comportamento e allo status sociale dell’altro, più attente nell’evitare di urtare i sentimenti altrui e di imporre il proprio punto di vista.

Cfr. Anolli L. (2000), Psicologia della Comunicazione, Bologna, Il Mulino, pp. 89; 99; 100-101.

sábado, 20 de noviembre de 2010

Lasciarsi amare da Gesù...è lasciare regnare Lui

Nostro signore Gesù Cristo Re dell’universo

Celebriamo in questa settimana la regalità di Cristo, cioè, Gesù come Signore e Re dell’universo. Concludendo l’anno liturgico con questa celebrazione, presentiamo a Cristo, come fosse un tributo accuratamente preparato, i frutti dell’anno che finisce, riconoscendo la sua presenza, il suo aiuto e la sua amicizia. Stiamo anche nella soglia dell’avvento, tempo che ci prepara per l’incontro tra Dio e l’uomo, e tra l’uomo e Dio. Dio si avvicina all’umanità ed a ciascuno di noi, ma anche noi, dobbiamo metterci in cammino verso Lui.
Vi presento una breve riflessione, appunto, per predisporci a vivere con gioia questa festa, in cui Gesù  dice a ciascuno di noi: Io voglio regnare nella tua vita, «per questo sono venuto a questo mondo», lasciamo, allora, che regni veramente, come egli vuole regnare nella nostra vita, per infondere in essa la sua presenza  e forza divina.
Cosa dobbiamo fare, come dobbiamo vivere e comportarci perché possiamo veramente metterci in cammino e lasciar regnare Gesù nella nostra vita?
Prima di tutto, una persona che si mette in cammino subito si prepara per l’azione e si domanda verso che direzione mi devo orientare. Non c'è cosa peggiore sentire dire alle persone scoraggiate: “sono stanco della vita”, “non ce la faccio più”, “io sono cosi da tanti anni”. Dio proprio si avvicina per rinnovare la nostra vita, per ammorbidire i nostri cuori e rafforzare la nostra volontà. 
Secondo, per lasciare regnare Gesù, dobbiamo lasciarci guidare da Lui, essere docili e disponibile alle sue ispirazioni, alla sua voce che ci parla attraverso, prima di tutto la Scrittura, la vicenda della vita comunitaria e nei volti concreti delle persone bisognosi. Dio ci parla costantemente e ci suggerisce le buone idee e azioni nella nostra coscienza e nei nostri cuori. Non possiamo sentire la sua voce, se non lasciamo spazio per l’ascolto, soprattutto nei momenti della nostra preghiera personale, ma, ascoltare Dio vuol dire anche riconoscere la sua presenza nell'altro, lasciarsi rinnovare dall'altro, accettare l'altro senza nessun condizionamento per condividere la vita in comunione.
Terzo, i soldati dicevano a Gesù: «se tu sei il re dei Giudei, salva te stesso». Questo fatto ci mostra che il regno di Dio non si costruisce con la forza, il potere, la prepotenza umana, bensì, la sua potenza si trova nella sua grande misericordia, nella sua compassione, cioè, nella sua capacità di condividere la vita con gli altri e di stabilire rapporti sereni. Gesù regna nell’amore, nella compassione, nella solidarietà, nella debolezza e nella mitezza.
In conclusione: Possiamo dire che Gesù Cristo regna nella relazione e nella comunione di vita ed amore, la sua intima comunione di amore con il Padre e lo Spirito Santo si esprime nella relazione con l’umanità, cioè con noi. Gesù è un Re perchè è capace di ristabilire questa relazione di amore nella redenzione mediante la sua croce. Allora, Gesù regna perchè è capace di amare tutti i suoi prossimi e di amare senza condizionamenti, senza misurare sacrifici, è questa l'esperienza che ha avuto il “buon ladrone”, si è sentito profondamente amato dal figlio di Dio, e questa esperienza vitale ha suscitato in lui il suo desiderio di conversione per la sua salvezza personale.
Lascio due domande da pensare: posso dire in questo momento che mi sento veramente amato da Gesù? Quando sperimento l'espressione del suo sguardo sofferente e sereno riesco a rinnovare la mia fiducia e fede personale?

Sia Lodato Gesù Cristo…Sempre sia lodato!!

domingo, 7 de noviembre de 2010

Alleggerire e non appesantire la croce...

Portare la propria croce per noi cristiani diventa condizione sine qua non per diventare discepoli di Gesù. Il segno della croce, oltre a rappresentare la sofferenza del nostro salvatore, è espressione di appartenenza e identità personale e collettiva. Contemplare la croce dovrebbe portarci a riconoscere la vita, l’amore e la liberazione che Gesù ci ha donato. Penso che L’icona della vita comunitaria può essere l’incontro tra Simone di Cirene e Gesù. Il cireneo fu colui chi ebbe aiutato a portare la croce del nazareno. Portare la Croce personale ed alleggerire (e non appesantire) la croce degli altri diventa una sfida per la nostra convivenza umana. 

domingo, 4 de abril de 2010

Essere segni e mediatori di Cristo Risorto

Essere segni e mediatori di Cristo Risorto




 Omelia di domenica di Pasqua (Parrocchia San Giorgio)

Oggi celebriamo la risurrezione del Signore. La festa di Pasqua è la più importante di tutto l’anno liturgico. È una festa di luce: il Signore c’illumina, mette nei nostri cuori un’immensa gioia, un’immensa speranza, e li riempie anche di amore. Il racconto del vangelista Giovanni ci situa nel giorno di domenica, quando Maria di Magdala si recò al sepolcro di Gesù, dove avevano lasciato il corpo del maestro…Questa narrazione è molto ricca in segni: ogni segno sempre ha un significato che dobbiamo scoprire per capire il messaggio:

-       Maria arriva vide che la pietra era stata tolta dal sepolcro
-       Pietro e Giovanni “corrono”…ma Giovanni arriva per primo, ma “non entrò”…perché?
-       Giovanni entrò nel sepolcro, ma dopo Pietro, e osservò i teli e il sudario… “vide e credette”.

Da questi tre segni elaboro la mia riflessione:

1- Gesù risorto è pieno di potenza: “…la pietra era stata tolta dal sepolcro”.

La risurrezione di Gesù è potenza poiché ci concede la remissione dei nostri peccati. Infatti, con la sua passione egli ci ha ottenuto il perdono di tutti i nostri peccati, anche quelli più gravi. La vita di Cristo ci trasforma interiormente. Non viviamo più semplicemente al livello umano, ma abbiamo in noi un germe di vita nuova che ci trasforma e ci rinnova con la grazia e la potenza della risurrezione.

2- Giovanni arriva per primo, ma non entrò, fu “Pietro che entrò nel sepolcro”

L’evangelista fa notare che Giovanni, pur correndo più veloce e arrivando prima è pieno di rispetto per Pietro, lo considera veramente come il capo degli apostoli; perciò non entra subito nel sepolcro, ma fa entrare prima Pietro.

La comunità cristiana non è un insieme di persone che convivono anarchicamente, cioè dove ciascuno dei membri si crea delle regole di maniera autonoma e libera senza nessun riferimento, precludendo ogni forma di animazione e gestione in comune. San Paolo, quando parla della Comunità cristiana, utilizza l’esempio del corpo per spiegare che la Chiesa deve convivere in armonia e in comunione. Vivere e lavorare in comunione è il segno più convincente che Gesù è vivo presente tra noi.

3- Giovanni al vedere i teli e il sudario… “vide e credette”

La risurrezione di Gesù è stata l’evento che ha illuminato la mente e il cuore dei discepoli. Gesù risorto è sorgente di luce, di una luce molto confortante e positiva che ci dona un sguardo nuovo per scoprire i segni concreti che ci parlano della risurrezione di Gesù.

Gesù risorto è sorgente di luce e di vita nuova che deve manifestarsi in segni concreti, ossia nel nostro modo di pensare, di sentire, de agire e di amare vicendevolmente. Se esprimiamo pensieri, sentimenti e azioni nuovi anche noi diventiamo segni vivi e mediatori efficaci del Cristo Risorto.

Gesù si manifestarà vivo nella nostra comunità, nella nostra famiglia… in noi e attraverso di noi, dunque, Dio ci chiama ad essere segni e mediatori della sua Risurrezione, allora vivere come risorto vuol dire assumere progressivamente i sentimenti ed i atteggiamenti di Gesù, l’uomo nuovo.

È possibile vivere come Gesù nella misura che viviamo con generosità, con spirito di servizio, con grande attenzione ai bisogni del prossimo, vivendo nella carità, nell’amore fraterno e la condivisione in comunione di azione e di spirito.

Il Signore è risorto, alleluia! Rallegriamoci ed esultiamo in Lui: impegnandoci ad essere segni e mediatori di:
FEDE: in unione con Cristo Risorto mediante la celebrazione gioiosa dell’Eucaristia domenicale;
SPERANZA: nel momento di difficoltà, di prova e di sofferenze;
CARITÀ: mediante l’amore, la comunione, il coinvolgimento e il aiuto solidale.

Cristo Risorto aiutaci ad essere segni e mediatori, della Fede, della Speranza e della Carità cristiana.