Per vivere un progetto comunitario ci vuole prenderle, prima di tutto, come un “progetto”, cioè, come qualcosa che si va costruendo giorno dopo giorno e per fare questo ci vuole anche, avanzare verso l’incontro di comunione. La vita di comunità consiste quindi nel camminare in discernimento verso l’incontro de comunione.
Cosa si intende per incontro di comunione?
Per rispondere questa domanda dobbiamo prima chiarire cosa intendiamo per comunione? Essa non consiste nella “fusione” di due in uno, in modo da far sparire le differenze. Se spariscono le differenze, se sparisce il conflitto, è segno che uno è riuscito ad imporsi sull’altro. La comunione è credibile soltanto quando integra un certo livello di conflitto e riesce a coabitare con questo. Ogni apologia della comunione che non integri il conflitto è ideologica e, pertanto, nasconde qualche forma di manipolazione.
La comunione non consiste neanche nell’identificarsi con l’altro a tal punto di far sparire ogni ombra di solitudine, di discrepanza, di oblio o di indifferenza. La comunità non è né la fidanzata, l’amante, né la sposa. Il desiderio di fusione è un sogno che sboccia in continuazione nel cuore umano, dal quale veniamo svegliati dagli inevitabili screzi nei nostri rapporti con gli altri. La terra promessa della comunione non si conquista se non procedendo in questo spinoso deserto del conflitto.
La comunione è piuttosto quell’incontro che si verifica quando due persone entrano in sintonia a livelli esistenziali e affettivi di fondo. La comune-unione avviene in quel centro personale che ci definisce e ci costituisce in modo radicale e che, per questo, ha il potere di relativizzare le nostre differenze, anche se non arriva ad annullarle del tutto. Affinché si raggiunga l’incontro di comunione, occorre che la persona esca da sé, distolga l’attenzione dal proprio narcisismo e coincida con l’altro su qualche suo interesse vitale. Quando due persone non sono più concentrate su di sé per concentrarsi su Dio, si aprono insospettate possibilità di coesione e di incontro, capaci di salvare le differenze maggiori. Condividere la chiamata di Dio non annulla le differenze di carattere, di gusti, di sensibilità…neppure le differenze tra i modi d’intendere Dio. Ma quel Dio ha il potere di darci progressivamente coesione e di avvicinarci nell’amore di carità, nonostante le nostre differenze di sensibilità, di cultura, di idee…fino a farci arrivare ad accettarci e amarci sinceramente nella differenza.
La comunione cresce in modo dialettico tra i poli autonomia/interdipendenza. La grandezza e, allo stesso tempo, la difficoltà della comunità cristiana e religiosa sta nel fatto che la difesa della pluralità e della diversità è importante quanto l’affermazione della comunione (1 Cor. 12, 4-11).
Non vi è comunità né comunione senza riconoscimento delle differenze. Le condizioni per una vera comunione sono l’autenticità di ognuno nei confronti della propria verità, la comunicazione della propria interiorità, il rispetto dell’identità altrui e la sintonia negli interessi vitali. La comunione non può mai venire imposta dall’esterno. Essa fiorisce quando ogni persona vi partecipa in modo pulito, e si avvia, in autenticità di vocazione, verso l’incontro dell’altro.
Il meglio di me non si manifesta in me o in te, ma in quello spazio che creiamo, tu e io, quando si mettiamo a costruire insieme la comunione mediante il discernimento (non nell’imposizione), verso i nostri interessi vitali comuni. Come dice Martin Buber, l’essenziale della vita non accade in me o in te, ma in quello spazio che siamo capaci di creare tra tutti e due quando entriamo in relazioni vive.
Lo spirito non è nell’IO, ma tra Me e Te. Non è come il sangue che circola dentro di te, ma come l’aria che respiri […] Soltanto a causa del suo potere di relazionarsi, l’uomo è capace di vivere nello spirito (Buber, 2004, p. 77).
In questo cammino verso la comunione non si avanza se non dando il meglio di se stessi e condividendo livelli della propria interiorità, come condizione per conciliare le tese bipolarità dell’esistenza umana condivisa. Si può creare comunione soltanto se si condivide l’interiorità.
Così ci educhiamo a:
Così ci educhiamo a:
- vivere sempre più “per gli altri” che “per noi”,
- armonizzare la dialettica tra l’aspetto personale e quello comunitario,
- vivere l’autonomia e l’esperienza di appartenenza come qualcosa di culminante,
- acquisire sempre più libertà e amore per affrontare i conflitti, potenziando così la crescita de la fraternità
- accettare le differenze come qualcosa di costitutivo di ogni vita in comunità
- accettare l’altro così com’è e a dargli tempo affinché possa crescere in libertà
- scoprire che ognuno può essere causa de allegria o di sofferenza per i propri fratelli, e che ciò, in parte dipende da lui.
La crescita personale consiste nel risvegliare processi di trasformazione interiore, a partire da necessità sentite e da motivazioni proprie (personalizzazione). Ogni processo credente di personalizzazione si deve sviluppare verso l’incontro di comunione con l’altro, verso l’integrazione in una comunità concreta e verso il senso di appartenenza. Chi non avanza verso una maggiore integrazione comunitaria e verso un senso de appartenenza maggiore, non avanza nel processo di personalizzazione. Chi invece socializza troppo all’interno del gruppo rischia di perdere la propria identità e la propria autonomia.
L’amore, che ciò che personalizza di più, è un incontro con l’altro in libertà.
Referenze bibliografiche
Buber M. (2004), Il principio dialogico e altri saggi, Milano, San Paolo.
Buber M. (2005), Yo y Tù, Madrid, Caparros.
Ilarduia J. P. (2007), Il progetto comunitario. Cammino d’incontro e comunione, Bologna, EDB.