viernes, 24 de diciembre de 2010

Natale: Festa della “Parola” donata e condivisa nella comunione di vita

Il vangelista Giovanni ci presenta il natale di Gesù come Parola e Luce da accogliere e da condividere tra noi. Natale è la comunicazione di Dio tramite la sua Parola incarnata: Gesù di Nazaret.
Oggi siamo immersi nella cosiddetta società dell’informazione e nella cultura della comunicazione. Questi titoli c’indica che veramente il tema della comunicazione e dell'informazione ogni volta svolge un ruolo importante, per non dire, esenziale nella nostra vita e nei nostri rapporti interpersonali e sociali.
In questi giorni siamo stati bombardati con un tipo di comunicazione invadente, seducente e addirittura persuasiva, cioè, la pubblicità: le grande agenzie mediatiche si sono dato da fare per riuscire loro obiettivi: convincerci che la cosa più importante nel Natale è comprare e consumare. Questo sembra il messaggio che ha riverberato in questi ultimi giorni.
Ho trovato questa espressione di un giovane sul internet che diceva al suo amico: «Io so che il Natale è vicino, ma in questa situazione ti domando: Che cosa hai comprato in questo Natale?»

Sarà possibile che questa sia l’unico messaggio che si comunica e si condivide in Natale?

Il vangelo che ci annuncia il Natale di quest’anno è di Giovanni che si apre dicendo: “In principio era il verbo, e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio” (Gv. 1, 1). Altre traduzioni usano il termine “Parola” invece di Verbo. Il mio interesse è mettere a confronto la Parola di Dio: parola che libera, che salva e che crea comunione è unità; e le nostre parole, che non sempre edifica e crea unione.
Penso che il Natale dovrebbe essere riscoperto come la festa de la Parola donata e condivisa, come l’auto comunicazione di Dio per mezzo della sua PAROLA, cioè, Gesù di Nazaret. Proprio questo è il senso vero del Natale, e per questo oggi siamo qui radunati come comunità. Dio stesso ha voluto mettersi in comunicazione e in relazione con ciascuno di noi, donandosi Lui stesso a ciascuno di noi, perché accogliendo la sua Parola possiamo anche rinnovarci personalmente.
Dio comunicandosi con gli uomini ha voluto condividere con noi il dono della sua vita divina, e la sua PAROLA svela il senso vero della nostra vita. Possiamo dire che la nostra vita soltanto trova senso nell’incontro con Gesù-Parola Incarnata del Padre. Presentare Gesù come Parola del Padre ci mete in un’atmosfera d’incontro, di relazione, di contatto e di comunicazione con Dio stesso. Gesù è l’Emmanuele: è il Dio con Noi, che ci rinnova e ci incoraggia per dare qualità alla nostra vita relazionale.
Possiamo allora interpretare il NATALE come il mistero dell’agire comunicativo de Dio con l’umanità intera e con ciascuno di noi. Vi presento tre sfide che possono diventare allo stesso tempo un impegno da vivere nel nostro piccolo:

-       Ascoltare la Parola di Dio ascoltando agli altri nei suoi bisogni concreti.
-       Accogliere la Parola di Dio accogliendo le parole degli altri con apertura e generosità di cuore.
-       Testimoniare la Parola per rendere credibile che Dio è veramente con noi e in noi.

Gesù PAROLA donata all’umanità ci chiede anche oggi a ciascuno di noi diventare strumento di relazione e di comunione per essere testimoni vivi e credibili di un Dio che si fa presente attraverso noi. Gesù Parola donata del Padre ci spinga anche a noi a donarci generosamente nella comunione di vita.

Sia lodato Gesù Cristo….sempre sia lodato…!!!

sábado, 4 de diciembre de 2010

Convertitevi, perché il Regno di Dio è vicino

Seconda Domenica di Avvento


 "Un germoglio spunterà dal tronco di lesse, un virgulto germoglierà dalle sue radici"


Introduzione

Inizio la mia riflessione facendo riferimenti alle tre antifone,
-         quella dell’ingresso: Il signore verrà a salvare i popoli…
-         del salmo: Vieni, Signore Re di Giustizia e di pace…
-         e del vangelo: Preparate la via del Signore…


Le tre antifone nel suo insieme ci mette in sintonia allo spirito dell’avvento in generale, e in particolare, al tema di questa seconda settimana di attesa del Signore Gesù.

Una domanda iniziale per impostare meglio la riflessione:

Quale è la forma più accurata di preparare e di attendere la venuta del Signore Gesù?

Il vangelo di questa seconda domenica di avvento ci presenta la figura di Giovanni il Battista, nelle sue parole e vita troviamo qualche chiave di lettura e di interpretazione per rispondere alla nostra domanda iniziale: Come prepararci in questo tempo di attesa?

Vi presento questo itinerario:

1-     Cercare la conversione di mente, di cuore e di azioni.
2-     Rispondere con prontezza all’invito della conversione
3-     Testimoniare con gioia la vita nuova nello spirito di comunione

1-     Per cercare la conversione di mente, di cuore e di azioni dobbiamo prestare attenzioni a:
-         mente: pensieri
-         cuore: sentimenti, affetti, emozioni.
-         Azioni: atteggiamenti, comportamenti (frutti di conversione)

La predicazione di Giovanni aveva come scopo principale il annuncio della vicinanza del Regno dei cieli e di preparare la venuta del Signore Gesù. L’invito alla conversione è indirizzato a “tutti”, ma particolarmente ai farisei e i sadducei, dice il vangelista Matteo, “vedendo molti farisei e sadducei venire al suo battessimo…”

Perché loro? I farisei e i sadducei credevano che la conversione si trattava di un fatto mentale che non implicava la totalità della persona. Loro si limitavano di compiere i comandamenti della legge e trascuravano i comandamento più principale e importante: la carità verso gli altri (peccatori).

Nella prospettiva dei farisei “la conversione” era qualcosa che riguardava allo formale…ma che non toccava la profondità del cuore. La conversione che annuncia e proclama, addirittura dice Matteo: grida, si tratta di un “invito” al cambio totale e radicale del nostro rapporto con Dio e con gli altri.

La conversione allora, prima di tutto, è ricostruire un rapporto nuovo con Dio e con gli altri.
 
2-     Per rispondere con prontezza all’invito della conversione. Il vangelista Matteo riporta le parole del profeta Isaia come anticipo della missione di Giovanni: “voce di uno che grida nel deserto…”. Nel invito di Giovanni troviamo un annuncio che diventa un’urgenza, in cui non c’è tempo per sprecare e pensare. Convertitevi! È un imperativo non soltanto un “invito”…dobbiamo allora prendere la decisione adesso!

La conversione è anche la nostra risposta generosa alla Grazia di Dio.

3-     E in fine, per testimoniare con gioia la vita nuova nello spirito di comunione, come frutto della nostra conversione possiamo estrarre dalle parole del profeta Isaia della prima lettura. Il profeta ci presenta un mondo di bellezza, armonia e di comunione totale tra: l’uomo e Dio, l’uomo e uomo e l’uomo e natura. La descrizione del profeta ci aiuta a capire che la missione dei cristiani oggi è proprio costruire un mondo umano più bello, pacifico, rispettoso e solidale tra uomo e uomo e tra uomo natura, come espressione della nostra comunione con Dio.

Da questa prospettiva la conversione è ricostruire un nuovo rapporto con Dio, con gli altri e con la natura.

Che la parola e la vita del Battista dirigano i nostri passi sulla via di una conversione profonda, che ci riporti alla radice del nostro vero essere: vivere in comunione profonda e totale.

Sia lodato Gesù Cristo…Sempre sia lodato!!!

viernes, 26 de noviembre de 2010

La cultura come sistema di valori

«Non vi è comunicazione senza cultura, così come non vi è cultura senza comunicazione»


L’identità personale e collettiva è (ri) costruita momento per momento nella comunicazione e nella relazione interpersonale.

Al cuore di una cultura si collocano i valori. I valori sono l’espressione della desiderabilità a un qualche livello, ma anche essi, costituiscono credenze che fanno riferimento a scopi desiderabili e alle condotte opportune per il loro conseguimento.




Lo studio delle dimensioni culturali dei valori ha condotto all’elaborazione di diversi tipologie. Presentiamo una tipologia che prevede tre assi fondamentali:






1-    Conservatorismo-autonomia: nelle culture fondate sul conservadurismo l’individuo è considerato come inserito in una collettività e sono privilegiati i valori dell’ordine sociale, della solidarietà, del rispetto per la tradizione e dell’autodisciplina. Per contro nelle culture basate sull’autonomia la persona è considerata come un’entità separata che trova significato nella sua unicità ed esclusività.

2-    Gerarchia-egualianza: nelle culture con alta gerarchia le persone sono educate e sanzionate ad adeguarsi agli obblighi e alle norme del loro ruolo e la distribuzione diseguale del potere e delle risorse è considerate legittima. Per contro, nelle culture con alta eguaglianza gli individui, ritenuti eguali nei loro diritti e doveri, sono socializzatti verso la cooperazione volontaria con gli altri e a superare i propri interessi egoistici.

3-     Padronanza-armonia: nelle culture con alta padronanza, le persone cercano attivamente di gestire e di cambiare il mondo fisico e sociale e sono orientate ai valori dell’affermazione di sé. Per contro le culture con alta armonia accettano il mondo com’è e sottolineano il senso di unità con l’ambiente e con la natura.

Sulle base di queste dimensioni emerge una sostanziale differenza fra le culture occidentali (valori elevati in Autonomia ed Eguaglianza, bassi in Gerarchia e Conservatorismo) e quelle orientali (situazione rovesciata).

Questa tipologia ci mostra che ci sono differenze fra gli stili comunicativi di culture diverse:

1-    Comunicazione a bassa contestualizzazione: culture occidentali.

-       È caratterizzata dall’adozione di un codice, da una modalità diretta e da una formulazione precisa degli enunciati.

-       È una comunicazione aperta, che fa poco affidamento sulle informazioni contestuali e che cerca di fornire all’interlocutore tutte le conoscenze necessarie per comprendere il messaggio.

-       Il silenzio è uno spazio da riempire e la sua presenza può creare imbarazzo

-       Le culture individualistiche, inclini a parlare, presentano una maggiore aderenza a forme di comunicazione a bassa contestualizzazione cercando di conseguire chiarezza ed efficacia, con l’obiettivo di ottenere affezione, soddisfazione e senso di appartenenza.
  
2-    Comunicazione ad alta contestualizzazione: culture orientali.

-       È qualificata da uno stile indiretto e da una modalità implicita, spesso vaga, in cui il  parlante dà per scontato che l’interlocutore conosca già la situazione e la sua intenzione.

-       Fa molto affidamento sulle informazioni aggiuntive proveniente dal contesto, è piuttosto concisa, lasciando all’interlocutore la libertà di intendere il discorso in atto.

-       Il silenzio ha un preciso valore comunicativo per indicare fiducia, discrezione sociale, protezione dall’imbarazzo e sfida.

-       Le culture collettivistiche prestano maggiore attenzione al comportamento e allo status sociale dell’altro, più attente nell’evitare di urtare i sentimenti altrui e di imporre il proprio punto di vista.

Cfr. Anolli L. (2000), Psicologia della Comunicazione, Bologna, Il Mulino, pp. 89; 99; 100-101.

sábado, 20 de noviembre de 2010

Lasciarsi amare da Gesù...è lasciare regnare Lui

Nostro signore Gesù Cristo Re dell’universo

Celebriamo in questa settimana la regalità di Cristo, cioè, Gesù come Signore e Re dell’universo. Concludendo l’anno liturgico con questa celebrazione, presentiamo a Cristo, come fosse un tributo accuratamente preparato, i frutti dell’anno che finisce, riconoscendo la sua presenza, il suo aiuto e la sua amicizia. Stiamo anche nella soglia dell’avvento, tempo che ci prepara per l’incontro tra Dio e l’uomo, e tra l’uomo e Dio. Dio si avvicina all’umanità ed a ciascuno di noi, ma anche noi, dobbiamo metterci in cammino verso Lui.
Vi presento una breve riflessione, appunto, per predisporci a vivere con gioia questa festa, in cui Gesù  dice a ciascuno di noi: Io voglio regnare nella tua vita, «per questo sono venuto a questo mondo», lasciamo, allora, che regni veramente, come egli vuole regnare nella nostra vita, per infondere in essa la sua presenza  e forza divina.
Cosa dobbiamo fare, come dobbiamo vivere e comportarci perché possiamo veramente metterci in cammino e lasciar regnare Gesù nella nostra vita?
Prima di tutto, una persona che si mette in cammino subito si prepara per l’azione e si domanda verso che direzione mi devo orientare. Non c'è cosa peggiore sentire dire alle persone scoraggiate: “sono stanco della vita”, “non ce la faccio più”, “io sono cosi da tanti anni”. Dio proprio si avvicina per rinnovare la nostra vita, per ammorbidire i nostri cuori e rafforzare la nostra volontà. 
Secondo, per lasciare regnare Gesù, dobbiamo lasciarci guidare da Lui, essere docili e disponibile alle sue ispirazioni, alla sua voce che ci parla attraverso, prima di tutto la Scrittura, la vicenda della vita comunitaria e nei volti concreti delle persone bisognosi. Dio ci parla costantemente e ci suggerisce le buone idee e azioni nella nostra coscienza e nei nostri cuori. Non possiamo sentire la sua voce, se non lasciamo spazio per l’ascolto, soprattutto nei momenti della nostra preghiera personale, ma, ascoltare Dio vuol dire anche riconoscere la sua presenza nell'altro, lasciarsi rinnovare dall'altro, accettare l'altro senza nessun condizionamento per condividere la vita in comunione.
Terzo, i soldati dicevano a Gesù: «se tu sei il re dei Giudei, salva te stesso». Questo fatto ci mostra che il regno di Dio non si costruisce con la forza, il potere, la prepotenza umana, bensì, la sua potenza si trova nella sua grande misericordia, nella sua compassione, cioè, nella sua capacità di condividere la vita con gli altri e di stabilire rapporti sereni. Gesù regna nell’amore, nella compassione, nella solidarietà, nella debolezza e nella mitezza.
In conclusione: Possiamo dire che Gesù Cristo regna nella relazione e nella comunione di vita ed amore, la sua intima comunione di amore con il Padre e lo Spirito Santo si esprime nella relazione con l’umanità, cioè con noi. Gesù è un Re perchè è capace di ristabilire questa relazione di amore nella redenzione mediante la sua croce. Allora, Gesù regna perchè è capace di amare tutti i suoi prossimi e di amare senza condizionamenti, senza misurare sacrifici, è questa l'esperienza che ha avuto il “buon ladrone”, si è sentito profondamente amato dal figlio di Dio, e questa esperienza vitale ha suscitato in lui il suo desiderio di conversione per la sua salvezza personale.
Lascio due domande da pensare: posso dire in questo momento che mi sento veramente amato da Gesù? Quando sperimento l'espressione del suo sguardo sofferente e sereno riesco a rinnovare la mia fiducia e fede personale?

Sia Lodato Gesù Cristo…Sempre sia lodato!!

domingo, 7 de noviembre de 2010

Alleggerire e non appesantire la croce...

Portare la propria croce per noi cristiani diventa condizione sine qua non per diventare discepoli di Gesù. Il segno della croce, oltre a rappresentare la sofferenza del nostro salvatore, è espressione di appartenenza e identità personale e collettiva. Contemplare la croce dovrebbe portarci a riconoscere la vita, l’amore e la liberazione che Gesù ci ha donato. Penso che L’icona della vita comunitaria può essere l’incontro tra Simone di Cirene e Gesù. Il cireneo fu colui chi ebbe aiutato a portare la croce del nazareno. Portare la Croce personale ed alleggerire (e non appesantire) la croce degli altri diventa una sfida per la nostra convivenza umana. 

domingo, 4 de abril de 2010

Essere segni e mediatori di Cristo Risorto

Essere segni e mediatori di Cristo Risorto




 Omelia di domenica di Pasqua (Parrocchia San Giorgio)

Oggi celebriamo la risurrezione del Signore. La festa di Pasqua è la più importante di tutto l’anno liturgico. È una festa di luce: il Signore c’illumina, mette nei nostri cuori un’immensa gioia, un’immensa speranza, e li riempie anche di amore. Il racconto del vangelista Giovanni ci situa nel giorno di domenica, quando Maria di Magdala si recò al sepolcro di Gesù, dove avevano lasciato il corpo del maestro…Questa narrazione è molto ricca in segni: ogni segno sempre ha un significato che dobbiamo scoprire per capire il messaggio:

-       Maria arriva vide che la pietra era stata tolta dal sepolcro
-       Pietro e Giovanni “corrono”…ma Giovanni arriva per primo, ma “non entrò”…perché?
-       Giovanni entrò nel sepolcro, ma dopo Pietro, e osservò i teli e il sudario… “vide e credette”.

Da questi tre segni elaboro la mia riflessione:

1- Gesù risorto è pieno di potenza: “…la pietra era stata tolta dal sepolcro”.

La risurrezione di Gesù è potenza poiché ci concede la remissione dei nostri peccati. Infatti, con la sua passione egli ci ha ottenuto il perdono di tutti i nostri peccati, anche quelli più gravi. La vita di Cristo ci trasforma interiormente. Non viviamo più semplicemente al livello umano, ma abbiamo in noi un germe di vita nuova che ci trasforma e ci rinnova con la grazia e la potenza della risurrezione.

2- Giovanni arriva per primo, ma non entrò, fu “Pietro che entrò nel sepolcro”

L’evangelista fa notare che Giovanni, pur correndo più veloce e arrivando prima è pieno di rispetto per Pietro, lo considera veramente come il capo degli apostoli; perciò non entra subito nel sepolcro, ma fa entrare prima Pietro.

La comunità cristiana non è un insieme di persone che convivono anarchicamente, cioè dove ciascuno dei membri si crea delle regole di maniera autonoma e libera senza nessun riferimento, precludendo ogni forma di animazione e gestione in comune. San Paolo, quando parla della Comunità cristiana, utilizza l’esempio del corpo per spiegare che la Chiesa deve convivere in armonia e in comunione. Vivere e lavorare in comunione è il segno più convincente che Gesù è vivo presente tra noi.

3- Giovanni al vedere i teli e il sudario… “vide e credette”

La risurrezione di Gesù è stata l’evento che ha illuminato la mente e il cuore dei discepoli. Gesù risorto è sorgente di luce, di una luce molto confortante e positiva che ci dona un sguardo nuovo per scoprire i segni concreti che ci parlano della risurrezione di Gesù.

Gesù risorto è sorgente di luce e di vita nuova che deve manifestarsi in segni concreti, ossia nel nostro modo di pensare, di sentire, de agire e di amare vicendevolmente. Se esprimiamo pensieri, sentimenti e azioni nuovi anche noi diventiamo segni vivi e mediatori efficaci del Cristo Risorto.

Gesù si manifestarà vivo nella nostra comunità, nella nostra famiglia… in noi e attraverso di noi, dunque, Dio ci chiama ad essere segni e mediatori della sua Risurrezione, allora vivere come risorto vuol dire assumere progressivamente i sentimenti ed i atteggiamenti di Gesù, l’uomo nuovo.

È possibile vivere come Gesù nella misura che viviamo con generosità, con spirito di servizio, con grande attenzione ai bisogni del prossimo, vivendo nella carità, nell’amore fraterno e la condivisione in comunione di azione e di spirito.

Il Signore è risorto, alleluia! Rallegriamoci ed esultiamo in Lui: impegnandoci ad essere segni e mediatori di:
FEDE: in unione con Cristo Risorto mediante la celebrazione gioiosa dell’Eucaristia domenicale;
SPERANZA: nel momento di difficoltà, di prova e di sofferenze;
CARITÀ: mediante l’amore, la comunione, il coinvolgimento e il aiuto solidale.

Cristo Risorto aiutaci ad essere segni e mediatori, della Fede, della Speranza e della Carità cristiana.

lunes, 22 de marzo de 2010

Imparare a relazionarsi è segno di volontà di vita nuova...



Relazionarsi con gli altri è un arte che, come tutte le arti, va imparata



Sto lavorando sul tema dell'esperienza "face to face" o della comunicazione interpersonale, quindi vi presento qualche righe pressi dal libro di Enrico Cheli che mi pare interessante e sommamente emergente. Lui propone queste cose:



1- Imparare a relazionarsi 

2- Per una comunicazione "sana" è necessario passare dall'egocentrismo alla consapevolezza dell'altro

3- Comunicare = esprimere + ascoltare attivamente



Possiamo rappresentare questa contemporaneità tra espressività e ascolto mediante il simbolo taoista del Tai Chi Tu che rappresenta l'interazione dinamica tra i principi opposti e complementari Yin (lato femminile della comunicazione) e Yang (lato maschile della comunicazione).

Spiegazione del simbolo:

- Metà bianca: è l'espressività.  Qui c'è una piccola area rotonda nera che ci ricorda che mentre esprimiamo possiamo e dobbiamo anche ascoltare: ascoltare noi stessi e ascoltare/osservare le reazioni dell'altro.

- Metà nera: è l'ascolto. Qui c'è il cerchietto bianco e ci ricorda che mentre ascoltiamo esprimiamo al contempo molti messaggi non verbali: segnali di attenzione, di contatto, di approvazione, ma anche di disattenzione o di dissenso.



Riflettere su queste affermazioni...


"Le relazioni con gli altri incidono a fondo sul nostro benessere psicofisico e possono renderci felici a realizzati oppure amareggiati, irritati, depressi, fino anche a favorire l'insorgere di vere e proprie patologie psicosociali, psicoemotive e psicosomatiche" (Cheli, 2008, p. 1)



"Ci troviamo in una fase di transizione in cui le persone desiderano orientare le loro relazioni in funzione di nuovi bisogni, nuove speranze, nuovi valori, ma ancora non hanno imparato nuove e più adeguati modi di comunicare e relazionarsi e soprattutto non hanno sviluppato la capacità di autodeterminarsi, usando la propria consapevolezza per compiere le scelte, invece si seguire ciecamente vie prestabilite da altri" (Cheli, 2008, p. 42).



Sette passi per trasformare le proprie relazioni: (Cheli, 2008, pp. 46-48)



"I rapporti  interpersonali come specchio dei rapporti con se stessi"


1- Riconoscere che ci sono un problema e un disagio: se non si riconosce che le cose non vanno bene come si vorrebbe e si finge che tutto vada per il meglio non avremo alcuna motivazione a cambiare.

2- Sapere che si può migliorare e che non è mai troppo tardi per farlo.

3- Venire a conoscenza delle cause socioculturali, psicologiche e comunicazionali di tali problematiche.

4- Acuire la consapevolezza di sè, cioè la capacità di portare attenzione cosciente a ciò che avviene dentro e fuori di noi, di rendersi conto di quanto accade in noi e attorno a noi nel momento stesso in cui accade e con distacco emotivo, cioè come se lo si guardasse dall'esterno. [...] Solo comprendendo le proprie reazioni emotive e conflitti interiori si potranno davvero comprendere quelli degli altri; solo prendendo coscienza delle proprie maschere si potranno aiutare gli altri a liberarsi dalle loro, così da instaurare una relazione veramente spontanea, sincera e costruttiva.

5- Capacità di osservare distaccatamente le altre persone e le situazioni relazionali che ci troviamo a vivere con loro.

6- Prendere le distanze dalle proprie abitudini comunicativo-relazionale, disidentificandosene.

7- Sviluppare un atteggiamento fiducioso e positivo nei confronto dell'esistenza, vedendola come una continua fonte di apprendimento i cui ogni accadimento, ogni situazioni, ogni relazioni può insegnarci qualcosa sulla vita e soprattutto su noi stessi.

Per approfondire di più: Cheli E. (2008), Le relazioni interpersonali, Milano, Xenia.

jueves, 18 de marzo de 2010



10 anni di prete!
18-03-2000/2010


Moto sacerdotale:



“El Espíritu del Señor está sobre mí, porque Él me ha ungido, para que dé la Buena Noticia a los pobres”. (Lc. 4, 18).



LA COMUNITÀ LUOGO (crescita umana) DELLA TESTIMONIANZA
(non-luogo: Spazio dell’anonimato, della mobilità, dell’incrocio - Termini)
-La settimana scorsa abbiamo sentito al proprio predicatore del Papa (grande il titolo/),
-Domani verrà il vicario D. Bregolin …
-Ma oggi… dovresti accontentarvi con le mie umili parole


KEY WORDS della omelia: comunità, testimonianza, umanità e San Giuseppe.


INTRODUZIONE:

In questo mese (marzo) abbiamo celebrato
compleanni di: Roberto Ruiz (5); Mario Leyton (10); Javier Rivas (21); Sebastian Alaertes (28)
Aniversario sacerdotale di: Gustavo Cavagnari e Claudio Arèvalos Coronel (10 anni).


Don Dal Covolo ci ha detto: le cose vere, ma…secondo me, penso che nelle situazioni che ci troviamo nella comunità è ancora “inverno” per seminare i seme della santità: tenterò di riflettere sul perché…


Spero non fare delle affermazioni contro le “verità dogmatiche”, ma…penso che quello che dirò, almeno per me, è importante. Io sono convinto che non possiamo tendere verso la santità se trascuriamo la dimensione relazionale e umana della nostra vita comunitaria e del nostro rapporto interpersonale. “Prima di essere santo dobbiamo essere umano”


La mia riflessione gira in torno al PERCHÉ? Ci sono tante perché che io non capisco…certe incoerenze, ambizioni inutili, forme di gestioni obsoleti, atteggiamenti che attentano lo spirito di famiglia…

I- SGUARDO SULLA NOSTRA REALTA: la parola di Dio no cade in un vuoto esistenziale.


Noi ogni giovedì ci impegniamo a vivere e celebrare “il giorno comunitario” (persino qualche giovedì siamo stati “infedele” al digiuno quaresimale), ed, a questo punto mi domando: PERCHÉ tutto questo? E Mi faccio queste domande:
- Celebriamo veramente una realtà viva della comunità o è soltanto una pia intenzione?
- La nostra vita spirituale è espressione della nostra vita fraterna?
- La nostra vita fraterna è una prolungazione della nostra vita spirituale?
- Non ci sono qualche distorsioni tra queste due dimensioni?

II- CONFRONTO CON LA PAROLA: (Gv 5, 31-47)


Questo brano del vangelo fa parte del Cap. 5 dove viene raccontato la presenza di Gesù in Gerusalemme (città che rappresenta il Tempio, il Culto e la Legge). Gesú guarisce un infermo proprio in sabato e va contro le prescrizioni della legge dei giudei. Questo è un segno che per GESÙ “la persona” è al centro della sua missione e non la legge neanche le norme. Facendo questo, Gesù rivela la falsità dei farisei.


PERCHÉ il vangelista GIOVANNI mette nella bocca di GESU 10 volte la parola TESTIMONIANZA: (17 versetti) mica che sia una casualità…
- 5 volte in rapporto ad un altro: Giovanni Batista
- 2 volte si riferisce a Gesú stesso
- 2 volte alle opere da compiere
- 1 volta a Dio Padre
- 1 volta alla Scrittura
Da queste referenze che ci da il vangelista possiamo ipotizzare che la TESTIMONIANZA personale e comunitaria ha a che vedere con:
- quello che gli altri dicono di noi: relazione di alterita
- quello che noi pensiamo de essere: coerenza personale
- quello che dobbiamo fare: dedizione al nostro impegno
- quello Dio ci chiede: obbedienza alla volontà divina
- quello che la Sacra Scrittura ci suggerisce ogni giorno: discernimento personale


Vorrei sottolineare soltanto quello che si riferisce alla dimensione relazionale. Gesú dice ai giudei: “Voi non volete venire a me per avere vita, perché: non avete in voi l’amore di Dio”.


L’ascolto della voce di Dio Padre, “è mediatizzato”, cioè, passa attraverso la voce del altro (Giovanni). Per tanto, per interpretare profondamente questa PAROLA, non è sufficiente l’intelligenza logica, ma soprattutto c’è bisogno dell’apertura di cuore e l’intelligenza relazionale:


Sua madre gli disse: «Figlio, perché ci hai fatto così? Ecco tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo…»

San Giuseppe è stato chiamato il “Santo del silenzio”. Nel vangelo non appare le sue parole, conosciamo la sua figura per le sue opere, suoi atteggiamenti, l’espressione del suo amore, il suo ruolo di protettore, guida, e padre responsabile e sempre presente nella sua famiglia.

Il silenzio di San Giuseppe non è espressione di complesso, di diffidenza o di timidezza. Il suo silenzio è stato, forse la competenza relazionale più ricca di un guida saggio ed autorevole, perché ha saputo assumere il ruolo di un ascoltatore attivo. Il suo silenzio è un silenzio rispettoso degli altri, un silenzio che è espressione di una persona che sa misurare le sue parole con prudenza e saggezza.

“San Giuseppe è stato un guida autorevole perché ha saputo entrare in relazione ascoltando attivamente”


Allora…a questo punto Io aggiungo un altro elemento: per ascoltare la voce di Dio nella voce degli altri, ci vuole l’intelligenza emotiva o relazionale.

In altre parole, dobbiamo essere capace di interpretare la realtà dalla prospettiva degli altri, avere la capacità di metterci nella situazione dell’altro. Questo significa compatire: soffrire con gli altri. Questa è la testimonianza che Gesú ha predicato e ci ha dimostrato nella sua vita.

Penso che la dimensione umana della testimonianza passa attraverso della buona relazione con gli altri, che si esprime: nel modo di trattare le persone, nello stilo di comunicazione che stabiliamo, nella forma de gestire un gruppo umano e una istituzione.

III- SFIDA PERSONALE E COMUNITARIA


In questo tempo di quaresima siamo invitati ad ascoltare la VOCE DI DIO e la VOCE DEI CONFRATELLI per continuare e portare ad un buon fine nostro percorso di conversione…(così ci ha detto il predicatore la settimana scorsa), questo è vero…ma
Penso che ci sia ancora insufficiente perché connota (secondo me) un dualismo spirituale, soprattutto perché, c’è il rischio di sottovalutare la voce degli altri (confratelli) e dare più importanza ad una spiritualità disincarnata.

NOI DOBBIAMO ascoltare la voce di DIO nella VOCE DEGLI ALTRI, cioè nella voci dei CONFRATELLI (questo è per noi un imperativo della vita comunitaria) (voce che non si riduce soltanto alle parole…ma anche ai linguaggi non verbale.. e soprattutto il linguaggio prosemico)


FINISCO: riportando le parole di: Don Pietro Brocardo nel suo libro: “Don Bosco profondamente uomo, profondamente santo”: 


«Don Bosco è stato santo perché ha vissuto profondamente la dimensione umana. Lui è stato un segno celeste che irradia luce con il suo essere, con quello che fa e con quello che dice».